Ricordi di Borgata

Ricordi di Borgata di GIUSEPPE AMALFITANO (*)

(*) Pubblicato da Giuseppe Amalfitano su www.rivistaletteraria.it/ - http://www.rivistaletteraria.it/pages/frigole/riquadro.html  il testo è integralmente riportato

"...

Dedica dell'autore 
A mia madre,
donna di grandi virtù,
moglie e madre esemplare
che a Borgo Piave
visse gli anni più belli e felici
della sua pur breve vita.

premessa

questi bozzetti sono solo un estratto da un mio lavoro in corso di svolgimento, più completo ed articolato, basato sui miei ricordi degli anni tra il 1950 e il 1980 che ho trascorso a Borgo Piave, una frazione del comune di Lecce che, con Frigole ed altre zone limitrofe, forma la parrocchia di S. Maria Goretti intorno alla quale si è sempre svolta la vita sociale degli abitanti di quelle zone; ecco perché il lavoro ruota, quasi del tutto, intorno alla vita parrocchiale.


la vita ecclesiastica prima della parrocchia

Prima della istituzione della Parrocchia di S. Maria Goretti a Frigole, Borgo Piave e zone limitrofe l'unico momento spirituale era rappresentato dalla S. Messa domenicale che veniva celebrata in due chiese improvvisate: a Borgo Piave, nel lunghissimo ed ampio corridoio dell' "Edificio Scolastico Rurale" (di ispirazione e costruzione fascista e quindi funzionale!) e a Frigole, in un locale ampio, chiamato impropriamente Chiesa di S. Antonio per una statua in cartapesta del santo di Padova che era situata sull'altare e che ancora oggi si conserva nella chiesa parrocchiale.
Il sacerdote celebrante che ricordo io si chiamava don Gaetano ed era pure professore di disegno (fu il mio docente di disegno nei miei tre anni di medie all' "Alfredo Oriani" di Lecce). Una bravissima persona che però aveva il difetto di autoinvitarsi a pranzo ogni domenica, a turno, presso le varie famiglie di Borgo Piave, con preferenza per quelle dei sottufficiali della Marina Militare, e fin qui nulla di strano se non fosse stato per il fatto che il reverendo annunciava l'autoinvito durante la S. Messa, appena conclusa l'omelia.
Provate allora ad immaginare in che stato si trovavano le signore in Chiesa perché da un momento all'altro si sarebbero sentite investite del "grande onore" di ospitare il sacerdote. Ricordo che mia madre cercava sempre di tenere in casa, fin dal sabato sera, diversi tipi di vivande e tutto l'occorrente per un bel pranzo domenicale onde non trovarsi sprovvista nel momento dell'eventuale "investitura" ad ospitante conferita alla nostra famiglia dal simpatico sacerdote.

Insomma, al di là della S. Messa domenicale, nelle borgate non esistevano altre forma di vita religiosa. Ricordo un'unica grande messa solenne nella chiesetta improvvisata di Borgo Piave che si tenne in occasione della cerimonia per la prima comunione dei tre figli del cuoco della Marina Militare, che si chiamava Gregorio Daggiano. Fu una cerimonia veramente bella e toccante.


Don Fortunato Pezzuto

Il primo parroco della nuova parrocchia di S. Maria Goretti di Frigole

Il 23 ottobre 1955 Mons. Francesco Minerva, Vescovo di Lecce, eresse una nuova parrocchia che andava a inglobare tutto il territorio dell'Azienda di Frigole dell'"Ente Riforma Fondiaria" (facente parte del comune di Lecce) e comprendeva tre borgate principali: Frigole, sede della parrocchia, Borgo Piave (con la chiesa di S. Antonio di Padova) e Borgo Grappa, detto anche Case Simili o Case Simini (con una chiesetta ricavata in uno stabile dell'Ente Riforma) e inglobava pure una notevole striscia di spiaggia di parecchi chilometri. In tutto, forse, poco più di settecento anime, considerando che da un rilevamento ufficiale del 1965 (Annuario Ecclesiastico della Diocesi di Lecce) le anime ammontavano a quella data a 827.


Primo parroco fu nominato don Fortunato Pezzuto di Carmiano (Lecce) che però proveniva da Oria, dove era stato a diretto contatto con il vescovo di quella diocesi , Mons. Almerico Semeraro.
Era giovanissimo e di bell'aspetto ma soprattutto aveva tanta voglia di lavorare e di darsi da fare per tutti gli abitanti della parrocchia, da troppo tempo abbandonati a se stessi sia a livello sociale che religioso.
Del suo ingresso in parrocchia ho, purtroppo, un ricordo alquanto sbiadito ma ciò che ricordo bene è l'immensa folla che si accalcava dentro la minuscola chiesetta di S. Antonio di Frigole (da non confondere con quella di Borgo Piave) ed anche fuori dalla Chiesa; ricordo pure che era di sera.

Don Fortunato prese alloggio, con la sua famiglia, in un bell'appartamento situato nel centro di Frigole, tra la chiesetta di S. Antonio e il grande deposito-cantina dell'Ente Riforma che sarebbe stato di lì a poco trasformato in chiesa parrocchiale.
Ed ecco perché la chiesa di Frigole è l'unica, tra quelle pubbliche che ho visto finora, ad avere un tetto a volta (residuato della vecchia cantina) ad appena 4 o 5 metri dal suolo, più simile ad una vecchia casa che ad un luogo pubblico di culto. Comunque è bella lo stesso con le sue tre navate parallele. Notevole è pure il complesso immobiliare fin da allora messo a disposizione della parrocchia dal solito "Ente Riforma" (che, dopo essere passato alla Regione Puglia ed aver cambiato vari nomi, dalla fine di aprile del 1993 non esiste più in quanto messo in liquidazione dalla stessa regione).

Dunque cominciava a funzionare la parrocchia con tutte le sue attività e don Fortunato capì che, prima fra tutte, doveva dare vita all'Azione Cattolica e il movimento cattolico partì subito con persone di impegno elevato e molto si fece per la zona di competenza della parrocchia; insomma l'Azione Cattolica pareva essere come un piccolo comitato di quartiere che portava a Lecce (sede del comune) tutte le istanze dei cittadini di Frigole, Borgo Piave e zone limitrofe.
Fra i vari Presidenti parrocchiali ricordo: Pietro Alfarano, Paolo Rossetti, Fernando Rossetti (per i giovani), Alessandro Sicuro, Uccio Ubaldo, Santo Parente, Nino Amato e, come detto prima, tanti altri di cui ricordo il volto ma non più il nome. Io, comunque, che sono stato sempre tesserato fino a quando ho lasciato Borgo Piave negli anni ottanta, ho il grande cruccio di non essere mai stato preso in considerazione da nessuno dei parroci succedutisi per un sia pur modesto incarico nell'Azione Cattolica parrocchiale e, avendo sempre fatto tanto per il movimento, devo confessare che "da giovane" ne ho sofferto molto in quanto, come tutti i giovani, volevo emergere e oggi, a dire il vero, mi rendo conto che queste sono solo stupidaggini giovanili e niente più anche se un certo "amaro in bocca" resta comunque.


Una cosa che ricordo bene del ministero parrocchiale di don Fortunato a Frigole sono le cosiddette "processioni rogazionali" che erano seguitissime dai contadini del luogo e tutti partecipavamo per far sì che, grazie alle nostre preghiere, potesse giungere finalmente la tanto agognata pioggia. E, ci si creda o meno, la pioggia arrivava quasi sempre puntuale dopo queste processioni.
Gli abitanti di Frigole, Borgo Piave e zone limitrofe, fino alla creazione della parrocchia, quasi certamente non avevano mai visto il proprio vescovo; fu grazie alle cresime che si tenevano in parrocchia in maggio/giugno, che finalmente cominciammo a conoscerlo di persona. Era sempre un grande avvenimento: arrivava da Lecce con un'automobile scura di grosso prestigio (forse una Lancia?) ed in pompa magna faceva il suo ingresso dal portone principale, seguito da alcuni canonici, dal suo segretario don Gaetano Quarta (un giovane sacerdote, a dir delle donne del luogo, molto attraente!), da vari seminaristi e da don Fortunato, molto teso ma soddisfattissimo.


I marinai di Borgo Piave, anch'essi in pompa magna, erano quasi sempre accompagnati dai sottufficiali, tra cui mio padre, e dal comandante del distaccamento. La presenza dei giovani marinai era eccitante per tutte le ragazze del luogo e gli stessi si davano da fare per corteggiarne qualcuna: era una delle poche occasioni per entrambi i sessi di incontrarsi e fare nuove amicizie e ... quanti matrimoni si sono fatti tra marinai e ragazze del luogo!


Un personaggio che partecipava sempre a queste feste era Antonio, un gelataio di origine greca, che col suo carrozzino a motore, partendo da Lecce, toccava tutte le sperdute masserie e, nei giorni di festa, vendeva i gelati accanto alla chiesa. Era per molti ragazzini di allora l'unica occasione di gustare un gelato fresco in un cono di ostia.


Che anni! Che gioia! Che pace! Il tutto con le tasche semivuote dei grandi e vuotissime dei bambini; c'era tanta fame! c'erano tanti problemi ma ci si voleva tanto bene come non si fa più oggi; ma il discorso sulla Borgo Piave o sulla Frigole di oggi preferisco non affrontarlo in quanto macchierebbe il meraviglioso ricordo che ho della zona negli anni in cui ci sono vissuto.


Il Catechismo

L'arrivo di un sacerdote residente e quindi parroco a tutti gli effetti portò alla organizzazione della vita parrocchiale. In precedenza infatti non esisteva alcuna forma di catechismo né di catechisti e catechiste in quanto non esisteva il benché minimo segno organizzativo perché la parrocchia cui era affidata la gente di Borgo Piave, Frigole e zone limitrofe era, se ricordo bene, quella dei frati di Fulgenzio, distante ben 18/20 chilometri dalle dette borgate.

Insomma ebbe inizio il catechismo. Era la gioia di noi bambini di Borgo Piave perché potevamo raggiungere Frigole, sede della parrocchia, distante da Borgo Piave solo 3 chilometri circa, ma praticamente in capo al mondo per un bambino degli anni cinquanta che viveva in quella zona. 

Ricordo che veniva a prenderci un camion adattato con telone e sedili in legno laterali che l' "Ente Riforma Fondiaria" metteva a disposizione del parroco per fare il giro delle borgate e delle masserie della zona onde raccogliere i ragazzini per portarli a Frigole. Ed era un piacere trascorrere circa un'ora e mezza fra andata e ritorno su quel camion che correva per le strade in terra battuta sollevando un immenso polverone, prendendo colpi nelle buche sempre più grosse del selciato e dando l'impressione di un gioco da "luna park". Nella mia mente sono nitidi, come in una fotografia, quei momenti e confesso che ancora oggi rivedo nel ricordo quei polveroni e sento ancora l'odore particolare della polvere sollevata dal camion frammista all'odore della nafta. E chi potrà mai dimenticare le varie fermate, i bambini che salivano e scendevano, i canti di gioia e le litigate per l'accaparramento dei soli due posti disponibili accanto alla sponda per poter vedere meglio la strada.
Poi, col passare degli anni e con il completamento della Chiesa di Borgo Piave, il "catechismo" fu sdoppiato fra Frigole e Borgo Piave e allora, addio camion e addio passeggiate. 

Leggendo nel ricordo viene fuori qualche nome: la Nina Rossetti, catechista a Borgo Piave e Mirella Pirandola, catechista a Frigole; qualche compagno di catechismo e, quindi, pure di scuola elementare: Rodolfo e Alfredo Stabile, Alfino Contino, Claudio Carluccio, Antonio Muccio, Antonio Braj, Severina Carrozzo, Franca Vergine, Anna Vergine, Nino Guarascio e tanti altri, vivi sì nel ricordo visivo, ma dei quali oggi mi sfugge l'identità anagrafica.


Le "botteghe" di Borgo Piave e Frigole 

Quando si parla di "botteghe" ci si riferisce alla parola dialettale leccese "putee" che erano (e oggi forse sono ancora) il pari degli empori + il saloon del vecchio far west e lo erano in tutto e per tutto (sic!) negli anni in cui sono vissuto a Borgo Piave perché nulla avevano da invidiare all'epopea western, scazzottate comprese; mancavano, ovviamente, solo le pistole e i morti ammazzati; poi era la stessa cosa.

"Per un bicchiere di vino!" potrebbe essere la parafrasi del ben noto film western "Per un pugno di dollari" in quanto nelle botteghe succedeva di tutto proprio "per un bicchiere di vino".

Le botteghe di Borgo Piave erano due negli anni cinquanta e sessanta: quella della signora Iolanda Lubelli (detta in dialetto Violanda) e quella della signora Mariuccia Chirizzi. Erano situate in due posti che quasi si fronteggiavano nella meravigliosa, grandissima piazza di Borgo Piave e, come al solito, vi erano i frequentatori assidui sia dell'una che dell'altra bottega. A Frigole ve ne era una sola e il proprietario si chiamava Ronzino.
Al mattino questi empori espletavano la funzione di vere e proprie salumerie (la Iolanda aveva anche la licenza dei tabacchi) mentre alla sera, verso l'imbrunire, quando i contadini finivano la loro pesantissima giornata di lavoro nei campi, questi locali si affollavano e si iniziava il rito del gioco del tressette e, ad un certo punto, si cominciava a giocare a "patrunu" (padrone), un gioco semplice sul tipo del sette e mezzo ma spietato perché chi vinceva il giro e quindi era "padrone" poteva disporre a piacimento del vino acquistato con le puntate: allora, a volte, tutto filava liscio e quel che faceva il "padrone" andava bene; ma quando il padrone voleva vendicarsi di qualche sgarro e lasciava o faceva lasciare senza bere (in dialetto si dice "all'urmu") per molto tempo qualcuno, cominciavano i litigi e un po' per stanchezza, un po' perché le persone erano brille, un po' per odii sopiti per vario tempo, avevano inizio delle scazzottate memorabili che prendevano tutti i presenti e il fuggi fuggi generale era d'obbligo.

Da notare che la domenica e soprattutto d'estate il passatempo preferito non erano le carte bensì il gioco delle bocce e la piazza di Borgo Piave, perfetto campo di calcio, era pure ottimo campo di bocce, nelle adiacenze delle due botteghe.
Una volta assistetti ad una scazzottata indimenticabile: erano due contro uno, un baldo giovane che si era forse permesso di dire una parola di troppo durante una partita di tressette. Il poverino fu letteralmente accompagnato a casa a suon di pugni e dovette percorrere più di due-trecento metri dalla bottega della Iolanda fino alla sua abitazione, quasi accanto all'Edificio Scolastico, nel modo seguente: appena si voltava e diceva qualcosa ai due (che stavano a circa 7-8 metri dal malcapitato) questi subito lo raggiungevano e sferravano altri pugni; pensate un po' che il poveretto si fermò all'incirca quattro-cinque volte e potrete capire in che stato arrivò alla sua casa.

La verità su questi fatti è che, come per gli Stati Uniti d'America, anche la zona di Frigole e Borgo Piave era formata da gente venuta lì a colonizzare i campi da varie parti della Puglia e soprattutto della Provincia di Lecce al tempo dell'Opera Nazionale Combattenti, voluta da Mussolini per premiare i reduci della guerra 1915-1918; insomma varie e variopinte erano le provenienze delle famiglie che portavano avanti spesso odii atavici magari maturati decenni e decenni prima nei luoghi d'origine.

Il marito della Iolanda, Mesciu Vittorio, era il ciabattino della borgata ed era pure, nella bontà del termine, un "capopopolo", un uomo insomma che si prendeva a cuore le sorti della borgata e che ricordo grande organizzatore, insieme a mio padre e ad altri, della Festa di S. Antonio.
Il marito della Mariuccia, Mesciu Giuanninu (Giovannino), era il meccanico della borgata e portava anche le bombole del gas nelle varie case. Fu lui a impiantare, nelle adiacenze della sua bottega, il primo distributore di benzina di tutta la zona; l'anno non lo ricordo, doveva essere forse il 1963/1964; benzinaio era il figlio, Gigi Chirizzi, buon giocatore di calcio e oggi titolare a Lecce di una avviata Scuola Guida.


Cose da pazzi! 

Ero un ragazzino, potevamo essere alla fine degli anni cinquanta, quando mi capitò di assistere ad un fatto che ho sempre definito "roba da pazzi" e che si svolse in un minuscolo appartamento di Borgo Piave.
Si tratta di questo: viveva in quel piccolo appartamentino una coppia. Spesso lui beveva molto e quindi per un nonnulla litigava con la moglie. Non posso affermare se la picchiasse o meno ma quel giorno successe un fatto insolito.
Ero per caso in piazza con mio padre che discorreva con dei suoi colleghi quando all'improvviso si scatenò il putiferio: l'uomo gridava come un ossesso e la donna rispondeva per le rime e questo durò per un bel po'. Al sentire quelle grida forsennate, capo Perich, il comandante, scese dagli uffici e si recò di corsa verso la porta della casa; si animò di coraggio ed entrò per sedare i contendenti e con il suo squisito modo di fare riuscì a calmarli ma dalla porta aperta vedemmo una scena a dir poco raccapricciante: l'uomo aveva, durante il litigio, quasi del tutto denudato la donna e, all'uscita di capo Perich dalla casa, pensò bene di chiudere la partita portando la donna in quelle condizioni fuori dalla porta, quindi sullla pubblica piazza, per continuare a sbraitare e mostrare "la preda" denudata ai pochi presenti; fu ancora il caro capo Perich che finalmente convinse l'energumeno a rientrare in casa con la moglie e a farla finalmente finita.

Erano ovviamente altri tempi; il vino allora faceva spesso dimenticare i problemi, soprattutto quelli economici e quelli familiari, ma nel contempo faceva sì che queste "cose da pazzi" accadessero e non di rado a Borgo Piave e nelle zone limitrofe.  

..."


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